intervista a Enzo Driussi

1. Lei si è spesso definito un “musicante”. Come è nata la sua passione per la musica?

Non mi sono mai preoccupato di distinguere un “musicista” da un “ musicante”. Entrambi amano la musica. Qualcuno con la musica ci vive, qualcuno considera la musica, suonata o ascoltata non fa differenza, come alimento dello spirito. Mi definisco musicante perché ho grande rispetto per i musicisti, quelli veri. Quelli che hanno studiato anni e anni sino a diventare professionisti e maestri di musica.
Quelli come me amano portare la loro musica ovunque ci sia chi l’ascolta volentieri. Non importa la qualità del pubblico o l’importanza del palcoscenico. Può essere un teatro, un’osteria, una piazza di paese.
I miei inizi musicali credo siano uguali a quelli di molti altri che sin da piccoli avevano la musica nel sangue. Io probabilmente l’ho succhiata con il latte dal seno di mia madre che, da giovane, suonava la fisarmonica. Subito dopo la guerra ha dovuto abbandonarla. Ecco dunque riversata su di me la sua passione.
A cinque anni ero già la piccola mascotte della scuola di musica della banda di Passons. A sette anni la prima fisarmonica di seconda mano e la scuola di musica a Udine. Un po' più grandicello, l’Accademia musicale “Mascagni” e poi la scuola di composizione del Maestro Prenna, direttore d’orchestra.
Nel 1961, a 14 anni, il mio primo timido ingresso nell’orchestra Udinese Fisarmonicisti. Esecuzione di brani tratti dalla Traviata, dal Nabucco, dalla Cavalleria rusticana. Roba da grandi. Ma le mie tendenze erano altre. Un amico, Giorgio Miani, che come me suonava in quell’orchestra, fondò a Pasian di Prato il Gruppo Folcloristico. Di lì a poco lo seguii ed ancora oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, suoniamo insieme.
Quella per la musica popolare, in particolare quella del mio Friuli, era ed è la mia passione.

2. Le osterie friulane sono luoghi di antica tradizione e lei ha dimostrato di conoscerne profondamente lo spirito. Molte hanno cessato l’attività. Come racconterebbe la vita e le atmosfere che si vivevano e quali le sue proposte ai giovani imprenditori per rilanciare “l’idea” dell’osteria?

Nell’ormai piuttosto lontano settembre 1984 un gruppetto di 20 amici di varie classi sociali ( avvocati, ingegneri, professori, presidi, uscieri, bancari, ferrovieri, imprenditori, architetti, impiegati, notai, commercianti) stipularono, davanti a un bicchiere di vino, un patto: trovare il modo di salvare la tradizione delle tipiche osterie friulane.
Non uno scherzo, una scommessa, una goliardata; non un passatempo fra un bicchiere e una partita di briscola, ma una cosa seria, per quanto possibile.
Nacque così il Comitato Friulano Difesa Osterie che mi vide fra quei 20 soci fondatori e che ancor oggi, dopo 35 anni, esiste ed opera e del quale, per oltre 20 anni, sono stato presidente.
E’ ben vero che in questo periodo molte realtà, nel nostro Friuli, hanno cessato di esistere ma è altrettanto vero che si stanno verificando delle “resurrezioni”, dei ritorni e delle nuove aperture.
Raccontare ai giovani (che peraltro stanno riscoprendo il profumo delle osterie) non è facilissimo. Potrebbero considerarlo, il mio, un nostalgico revival, condito di serate in locali fumosi, con canti e suoni di fisarmoniche. Momenti magici ( e purtroppo ormai quasi del tutto perduti ) che sanno di retorica e di malinconico ricordo. Ma era la vita di quei tempi, senza lo squillo dei telefonini, senza gli occhi costantemente puntati sull’orologio (macchina tirannica).
C’è una sola proposta che sentirei, senza pretesa di avere l’assoluta verità, di fare ai giovani e meno giovani imprenditori per rilanciare l’osteria: puntare sulla genuinità dei prodotti. Mantenere, pur senza escludere le novità, la tradizione.
Una delle cose di cui vado orgoglioso è l’aver promosso una legge regionale per la tutela e la valorizzazione dei locali sorici del Friuli.
Molti locali oggi si fregiano della distinzione di “Locale tipico friulano”. Questa è la strada giusta per fare in modo che vengano salvaguardate le tipicità enogastronomiche del nostro territorio.
Che poi diventino marketing o turismo gastronomico è inevitabile e, per gli aspetti economici, auspicabile.

3. Come è nata la sua passione per la poesia?

I miei pensieri poetici nascono spontaneamente. Già da bambino, frequentando la scuola elementare, scrivevo versi e rime baciate. se ricordo bene la mia prima composizione poetica era dedicata a una mia compagna di scuola. In seguito, leggendo vari poeti ho imparato e riflettuto di più. Domenico Zanier e Galliano Zof sono sempre stati i miei punti di riferimento.

4. Leggendo i suoi lavori in lingua friulana troviamo riferimenti al friulano parlato nel nostro territorio e riferimenti ed insegnamenti che resistono nelle nostre memorie personali. E’ frutto di sensibilità ed assorbimento di una cultura o volontà razionale di difesa di una lingua e di una cultura che sta divenendo minoritaria?

Premetto che non considero assolutamente la lingua e la cultura del nostro Friuli elementi minoritari nel panorama linguistico e culturale del Paese.
Per quanto ho sinora scritto e pubblicato ho sempre attinto a intimi momenti del mio sentirmi friulano e a quanto ho ereditato dai miei nonni, dai miei genitori, dagli studi che, anche in età matura, ho avuto la fortuna e la costanza di seguire.
Nel mio scrivere, in particolare nelle espressioni che magari pomposamente vengono da altri definite poetiche, ho sempre ascoltato la voce del cuore, dei sentimenti, delle sensazioni. Composizioni a volte liete, a volte tormentate ma sempre spontanee e sincere, anche quando rischiavano di far male a me e ad altri.

5. Alcune sue opere in lingua friulana hanno accanto la traduzione in lingua italiana, altre, composte in lingua straniera o italiana sono offerte in lingua friulana. L’esercizio della traduzione che significato ha per lei?

La traduzione è indispensabile per comunicare con gli altri soprattutto nei “fogolars” sparsi per il mondo, negli scambi con gruppi di diversi paesi ed è obbligatoria per la partecipazione a concorsi e a festival a carattere nazionale. La traduzione però, a mio parere, non riesce mai a comunicare pienamente i significati e le emozioni che la lingua madre esprime tramite le parole originarie.

6. La musica, la lettura di poesie, la presentazione di libri, le mostre d’arte., le rappresentazioni teatrali rimangono momenti d’incontro fra persone che fruiscono dell’evento, che lo commentano, si guardano, vengono in contatto fra loro. Nel contesto attuale, però, si utilizzano anche altre modalità e strumenti. Quali proposte farebbe alle nuove generazioni per renderle protagoniste in campo culturale?

L’arte, in ogni sua espressione, dev’essere occasione d’incontro, di confronto, di arricchimento, di scontro, di proposta, di crescita.
Ma avvicinarsi all’arte è cosa assolutamente soggettiva ed è fortunato colui che si lascia rapire da un quadro, da una poesia, da un motivo musicale.
Quale consiglio dare a nuove generazioni perché sviluppino nell’animo la gioia di essere partecipi e protagoniste di eventi culturali di qualsivoglia natura?
Sarà cruda risposta ma mi sento di dire: nessun consiglio.
La voglia di nutrirsi di cultura deve nascere e crescere con il vivere, confrontandosi con gli altri e con se stessi, senza mai sentirsi appagati o realizzati ma continuando ad essere affamati di conoscere e di sapere.

7. Lei ha avuto occasioni di incontro con molte comunità di emigrati friulani in diverse parti del mondo; quali bisogni ha riscontrato e quali modalità di scambio proporrebbe per mantenere saldi i legami con i loro paesi d’origine?

In oltre 50 anni di viaggi nel mondo, ospite, nella maggior parte dei casi, di Fogolars furlans, ho toccato con mano pensieri, ricordi, speranze deluse, nostalgie, rimpianti, gioia, benessere, miseria.
Ma sempre, sempre, il forte richiamo della patria lontana.
E’ ben vero che, tanti anni fa, l’emigrante friulano sognava il ritorno, magari dopo aver sentito un timido profumo di fortuna.
Ora, dopo generazioni, non è più così.
L’emigrante friulano ricorda ancora il suo Friuli ma, salvo alcune anche tragiche situazioni economiche e politiche del paese ove vive, ha scelto di restare dov’è. Dove ha creato una famiglia e un futuro.
Quello che moltissimi di loro mi hanno chiesto è che sia il Friuli a non dimenticarli.

Martignacco, dicembre 2019

Enzo Driussi tra musica e scrittura

Enzo Driussi tra musica e scrittura